Quella imprecazione scaturita dallo stress, ogni volta che volavamo Alitalia, e i bagagli non pervenuti, il rombo da emicrania dei vecchi MD80, i ritardi che si accumulavano e facevano perdere coincidenze, le notti in albergo intorno a Malpensa con sveglia alle 4, i prezzi alle stelle sulle tratte cruciali, monopolizzate grazie alla politica, e quella volta che il comandante annunciò testualmente "ci scusiamo per il ritardo nel decollo ma metà del personale di terra è a casa a vedere la partita della Roma", tutto questo generava nello stomaco, all'atterraggio, quella imprecazione "mai più Alitalia", con un auspicio "che fallisca e vada al diavolo".
E adesso che fallisce, alla notizia del ritiro dell'offerta da parte della CAI persino i dipendenti Alitalia in assemblea permanente reagiscono con un'ovazione, giubilo e tripudio. Anche per loro nel giorno in cui perdono il lavoro, è arrivato il momento di scagliare le più inconcepibili invettive, gonfi di ferocia e di frustrazione, contro questo marchio che negli anni si è trasformato, come fu per Olivetti, da vanto del made in Italy a vergogna nazionale.
Un paese intero, in continuo declino da vent'anni.
E' andata com'è andata, con i sindacati che hanno tirato troppo la corda e dopo lo strappo si ritrovano più deboli, 20mila lavoratori in meno da rappresentare; i sedicenti imprenditori barboni e pidocchiosi, disposti a tirare fuori solo un euro e per guadagnarne dieci, senza prendersi rischi; il governo di quel pirata di Berlusconi che scarica un suo personale fallimento sulle spalle degli italiani che si impoveriscono un pizzico in più, restando impunito - l'ennesima volta; e 20mila famiglie da risistemare, gente infelice, insicura, stressata che dovrà rimettersi a cercare lavoro.
Ma per la prima volta dopo decenni di vischiose manovre, di zone grigie che non sono mai un sì o un no chiaro, c'è una conclusione, un passaggio definitivo: qualcuno che dice no, vivaddio un po' troppi che si sono messi tutti insieme a dire no: gli imprenditori, i sindacati, il governo, i piloti, le hostess, un giro di no - nessuno disposto a cedere, nessuno turbato, nessuno minimamente esitante dinanzi al tetro sipario che calava su un marchio la cui seduzione è degenerata in disgusto in appena dieci anni.
E adesso che fallisce, alla notizia del ritiro dell'offerta da parte della CAI persino i dipendenti Alitalia in assemblea permanente reagiscono con un'ovazione, giubilo e tripudio. Anche per loro nel giorno in cui perdono il lavoro, è arrivato il momento di scagliare le più inconcepibili invettive, gonfi di ferocia e di frustrazione, contro questo marchio che negli anni si è trasformato, come fu per Olivetti, da vanto del made in Italy a vergogna nazionale.
Un paese intero, in continuo declino da vent'anni.
E' andata com'è andata, con i sindacati che hanno tirato troppo la corda e dopo lo strappo si ritrovano più deboli, 20mila lavoratori in meno da rappresentare; i sedicenti imprenditori barboni e pidocchiosi, disposti a tirare fuori solo un euro e per guadagnarne dieci, senza prendersi rischi; il governo di quel pirata di Berlusconi che scarica un suo personale fallimento sulle spalle degli italiani che si impoveriscono un pizzico in più, restando impunito - l'ennesima volta; e 20mila famiglie da risistemare, gente infelice, insicura, stressata che dovrà rimettersi a cercare lavoro.
Ma per la prima volta dopo decenni di vischiose manovre, di zone grigie che non sono mai un sì o un no chiaro, c'è una conclusione, un passaggio definitivo: qualcuno che dice no, vivaddio un po' troppi che si sono messi tutti insieme a dire no: gli imprenditori, i sindacati, il governo, i piloti, le hostess, un giro di no - nessuno disposto a cedere, nessuno turbato, nessuno minimamente esitante dinanzi al tetro sipario che calava su un marchio la cui seduzione è degenerata in disgusto in appena dieci anni.
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