C'erano almeno il triplo degli spettatori al Consolato d'Italia a rue du Livourne per la partita Italia-Francia, rispetto alla partitaccia contro la Romania. A dimostrazione del fatto che coi francesi e' sempre finale, nonostante le due squadre fossero entrambe con un piede nella fossa. La Romania era data per vincente contro una svogliata Olanda e tra Francia e Italia sarebbe stata fatica sprecata. Invece gli olandesi hanno deciso di non perdere la concentrazione e mantenere lo spirito da competizione e l'Italia, come sempre, ha tirato fuori le palle nel momento decisivo, ma prima aveva voluto, come sempre, mettersi nei guai.
Spiegavo ai miei colleghi questo atteggiamento tutto italiano: prima annegare nel fango e poi reagire alla disperata ma efficacemente, come nessun altro saprebbe: catenaccio e contropiede, sofferenza e furbizia, nel calcio come nella vita di tutti i giorni. Non siamo grandi palleggiatori, non siamo fatti per il bel gioco d'attacco all'olandese, all'argentina, alla brasiliana. Siamo maestri del minimo sforzo, maestri nel consumare i centrocampi altrui, nel costringerli a ragionare a lungo per trovare sbocchi, corridoi, percorsi logici, che poi puntualmente annulliamo con piallamenti da carrarmato alla Gattuso. E siamo maestri nell'arte di arrangiarsi, ne sa qualcosa Zambrotta che da quando aveva 5 anni non sa mai prima di una partita se giochera' a sinistra o a destra. E siamo ancora maestri dell'espediente, questi quarti di finale ce li siamo infine guadagnati con un rigore, un autogol e un calcio in culo, come in altri tempi ci guadagnammo il si' al Trattato di Maastricht.
Ma spiegare a questi stranieri l'atmosfera del Consolato d'Italia a rue du Livourne, fatta di italo-belgi della terza generazione, perlopiu' pizzaioli con venti parole italiane di vocabolario, e poi di rampanti esuli scampati alla feroce razzia berlusconiana dell'Italia di oggi: studenti, stagiaires, tuttofare all'italiana in carriera (portaborse, pubblicitari, eurocrati, avvocati, p.r., artisti, giornalisti). Spiegare magari a fiamminghi e tedeschi il significato intimo di catenaccio e contropiede, non uno schema calcistico ma un'espressione esistenziale, una ragione d'essere, l'essenza stessa delle nostre filosofie di vita, e' fatica sprecata, perche' loro sono gli stessi che continuano a chiedermi a pranzo, sbarricando gli occhi, perche' mischio la pasta con i fagioli, dove la pasta & fagioli e' un fatto di costume, evoca operai in canottiera durante la pausa pranzo.
E cosi' ieri entravo in ufficio esclamando fiero "we made it!", all'italiana "abbiamo vinto", mentre quando "hanno perso" immediatamente prende forma l'accanimento nei confronti dei poveri cristi che devono portare la croce per sessantamilioni di commissari tecnici, sessantamilioni di presidenti della repubblica, sessantamilioni di capireparto, sessantamilioni di arbitri delle esistenze altrui...
E comunque, nella bolgia del festeggiamento al Consolato d'Italia a rue du Livourne, una sciarpa biancoverde dell'AFP GIOVINAZZO di hockey su pista ha sventolato dinanzi alle immagini dei francesi battuti da Cassano e De Rossi, stoffa buona per i momenti di saudade acuta.
Spiegavo ai miei colleghi questo atteggiamento tutto italiano: prima annegare nel fango e poi reagire alla disperata ma efficacemente, come nessun altro saprebbe: catenaccio e contropiede, sofferenza e furbizia, nel calcio come nella vita di tutti i giorni. Non siamo grandi palleggiatori, non siamo fatti per il bel gioco d'attacco all'olandese, all'argentina, alla brasiliana. Siamo maestri del minimo sforzo, maestri nel consumare i centrocampi altrui, nel costringerli a ragionare a lungo per trovare sbocchi, corridoi, percorsi logici, che poi puntualmente annulliamo con piallamenti da carrarmato alla Gattuso. E siamo maestri nell'arte di arrangiarsi, ne sa qualcosa Zambrotta che da quando aveva 5 anni non sa mai prima di una partita se giochera' a sinistra o a destra. E siamo ancora maestri dell'espediente, questi quarti di finale ce li siamo infine guadagnati con un rigore, un autogol e un calcio in culo, come in altri tempi ci guadagnammo il si' al Trattato di Maastricht.
Ma spiegare a questi stranieri l'atmosfera del Consolato d'Italia a rue du Livourne, fatta di italo-belgi della terza generazione, perlopiu' pizzaioli con venti parole italiane di vocabolario, e poi di rampanti esuli scampati alla feroce razzia berlusconiana dell'Italia di oggi: studenti, stagiaires, tuttofare all'italiana in carriera (portaborse, pubblicitari, eurocrati, avvocati, p.r., artisti, giornalisti). Spiegare magari a fiamminghi e tedeschi il significato intimo di catenaccio e contropiede, non uno schema calcistico ma un'espressione esistenziale, una ragione d'essere, l'essenza stessa delle nostre filosofie di vita, e' fatica sprecata, perche' loro sono gli stessi che continuano a chiedermi a pranzo, sbarricando gli occhi, perche' mischio la pasta con i fagioli, dove la pasta & fagioli e' un fatto di costume, evoca operai in canottiera durante la pausa pranzo.
E cosi' ieri entravo in ufficio esclamando fiero "we made it!", all'italiana "abbiamo vinto", mentre quando "hanno perso" immediatamente prende forma l'accanimento nei confronti dei poveri cristi che devono portare la croce per sessantamilioni di commissari tecnici, sessantamilioni di presidenti della repubblica, sessantamilioni di capireparto, sessantamilioni di arbitri delle esistenze altrui...
E comunque, nella bolgia del festeggiamento al Consolato d'Italia a rue du Livourne, una sciarpa biancoverde dell'AFP GIOVINAZZO di hockey su pista ha sventolato dinanzi alle immagini dei francesi battuti da Cassano e De Rossi, stoffa buona per i momenti di saudade acuta.
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